Demopraxia
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Demopraxia per il Comune di Lecce
DEMOPRAXIA PER IL COMUNE DI LECCE
Considerato che nell’ambito dell’Avviso pubblico per la selezione di processi partecipativi da ammettere a sostegno regionale nell’ambito del Programma annuale della partecipazione della Regione Puglia ai sensi della LR N.28/2017 – Legge sulla Partecipazione-AD n.28 del 21.11.2018, Fondazione Emmanuel-Don Francesco Tarantini per le Migrazioni e il Sud del Mondo in partenariato con Liceo “Redi-Virgilio” di Lecce, Istituto Tecnico Agrario e Turistico “Presda-Columella” di Lecce, Confartigianato di Lecce, Confcommercio di Lecce, Rapsodia 8.9, Positivo Diretto, Human First, Associazione Comunità Emmanuel- Onlus, Fondazione di Comunità del Salento,
ha presentato la proposta di progetto “Demopraxia” che è poi risultata vincitrice con Atto Dirigenziale n. 161/2019, avente ad oggetto la realizzazione di un processo partecipativo per l’anno 2019-2020.
Tenuto conto che il progetto Demopraxia prevedeva tra i suoi obiettivi come output la stesura di una proposta partecipata contenente uno storytelling urbano in cui si individuano attraverso intrecci di memoria, relazioni e territorio, VocAzioni partendo da quelle artigiane e commerciali a quelle di valorizzazione del paesaggio urbano e turistico.
Visto quanto sopra, a seguito dell’impegno preso dal Comune di Lecce in data 28 ottobre 2020
si richiede di prendere in carico il seguente documento, risultato di un processo partecipativo con la richiesta di contribuire in collaborazione con Fondazione Emmanuel-Don Francesco Tarantini per le Migrazioni e il Sud del Mondo e di tutte le organizzazioni coinvolte, alla promozione della partecipazione attiva connessa al riconoscimento della responsabilità sociale di comunità, di favorire processi di inclusione-integrazione socioculturale sostenendo le iniziative, progetti e attività realizzati in tal senso da Fondazione Emmanuel, di riconoscere tra gli altri, alcuni punti sensibili di recente attivazione come il “Centro di Prossimità-Pronto Intervento Sociale” destinato a persone senza fissa dimora e con vulnerabilità socio-economiche aperto nei pressi della Stazione Ferroviaria in via Don Bosco n.18 e del progetto sociale di Fondazione Comunità del Salento “Defriscu- Gelateria Sociale”, di promuovere ogni forma di dialogo e lavoro in rete facendo uso del territorio come strumento per trasformare le relazioni tra i diversi attori presenti.
Sei quartieri cittadini, anzi sei aree urbanizzate, antropizzate, sviluppate, ognuna con una storia, una fisionomia, una identità, una aspettativa, una visione. Ma anche nodi irrisolti, una interlocuzione non sufficiente con l'amministrazione comunale, almeno sino a qualche anno fa, forse oggi le cose cambiano perché le periferie si sono scoperte importanti, su di esse drenano più finanziamenti che sui centri salottieri.
È questa la Lecce scelta da Fondazione Emmanuel per il suo Demopraxia, progetto che si è aggiudicato il cofinanziamento di PugliaPartecipa ed ha voluto riproporre in luce nuova una pratica di esplorazione urbana consolidata ormai sul territorio nazionale, i walkabout di Carlo Infante e del suo work experience. Ricetrasmittenti, microfroni e cuffie, tutti collegati e connessi, gruppi variegati alla scoperta di ciò che abitualmente non si vede, o sembra banale e banale non è, questo è dialogo intergenerazionale, interclassista, interculturale.
Originariamente, il progetto era stato pensato per le scuole: due Istituti superiori del capoluogo: il Tecnico Agrario/Turistico "Presta-Columella" ed il Liceo Classico "Virgilio", l'idea era quella di formare un unico gruppo classe e confonderlo nei vicoli della città vecchia o nelle case popolari di Santa Rosa, e a quel punto, in tre giorni di trasferte, vivere la città in maniera inedita.
Perché a scuola si studiano il Tasso e l'Ariosto, Omero e Colombo, Napoleone e Mazzini, ma non si aprono le finestre sul quartiere ove insiste l'Istituto, e sulle persone che ci abitano, la bottega, l'officina, il mercato, i volti, i colori, le sfumature, le microstorie, che poi non sono tanto micro: al Liceo Virgilio, unico Istituto Superiore collocato nel quartiere Ferrovia, nulla si sapeva del fatto che fra non molto il Ferrovia cambierà volto, anzi l'ha già cambiato un po', la Masseria Tagliatelle, la foresta Urbana, il parco delle Cave, sino all'apertura laterale della stazione, una svolta nella urbanistica e nella mobilità della città.
Qualche centinaio di metri in linee d'aria dal Liceo, eppure fuori dai programmi scolastici.
Le escursioni servivano a questo, realizzare un rapporto inedito fra nuove generazioni, i millenials, e i decisori, pronti a prendersi responsabilità anche quando le omissioni siano colpa dei predecessori, ma la delizia è quasi sempre una croce, loro sono preparati. E si erano preparati all'incontro/scontro con i diciassettenni dei due Istituti, in giro per la Lecce meno conosciuta, paesaggi umani su cui impiantare politiche diverse, concordate, un po' come i Laboratori urbani che a Lecce hanno funzionato, ma ora la parola toccava agli studenti.
Il progetto si è parzialmente arenato per la pandemia, rischiando di saltare, è stato recuperato pochi giorni prima della fine del più assurdo anno scolastico che a memoria d'uomo si ricordi, a metà maggio due docenti sensibili e tenaci, insieme alle associazioni degli artigiani e dei commercianti, hanno deciso di accettare l'invito della Fondazione a trasferire in rete l'esperienza, e sono nate le Esplorazioni on Line con gli studenti delle due Scuole, stessi quartieri, pervicacemente indagati e immortalati dai nostri antropologi e fotografi, ridescritti, ripresentati, senza fronzoli, senza appiattimenti, la città è quella che appare e quella nascosta, decodifichiamola insieme.
Gli storyboard di quelle escursioni on line -partecipate per quanto è stato possibile da studenti che erano alla fine della esperienza traumatica dello studio a distanza -costituiscono oggi un documento che consegniamo all'Amministrazione. Vi sono contenuti gli aspetti -noti e meno noti -della vita collettiva di una città, la bellezza della sua quotidianità, la gravità delle sue disparità. Fra cittadini italiani, stranieri e di origine straniera, poveri e ricchi, motorizzati ed ecologici, poeti e tecnocrati, artigiani e digitali, prossimità o ipermercati, memoria e futuro.
Fondazione Emmanuel e Carlo Infante hanno riassunto nei report il senso di ciò che è stato fatto, specialmente dopo che a settembre si è riusciti a recuperare un gruppo in presenza che chiudesse il cerchio, sulla linea ideale centro storico-ferrovia, dalla Gelateria sociale “Defriscu” finanziata dalla Regione Puglia sul bando dell'innovazione sociale, fino al Centro di prossimità-Pronto Intervento Sociale, aperto da poco dalla Fondazione e rivolto ai senza dimora ea persone in condizioni di grave vulnerabilità socio-economica.
Presenti gli assessori, questa volta, i docenti, gli artigiani, i commercianti, i volontari, i migranti. Ma assenti gli studenti dei due Istituti scolastici partner di progetto, "Presta-Columella" ed il Liceo Classico "Virgilio", non era loro consentito, sempre per la pandemia, anche perchè la scuola non era iniziata.
Queste note sono a supporto di questa esperienza. Utili ai decisori, a coloro che sono stati votati per rendere migliore la vita di una comunità, e che forse dovrebbero mettere nel loro programma elettorale ed amministrativo di girare per una scuola a settimana.
Non per parlare di politica, ma di futuro.
Va da sé che uno dei valori più significativi di Demopraxia sia stato –come era nelle aspettative –la sperimentazione di un processo virtuoso; in altre parti della relazione finale e del report di monitoraggio emerge quale novità abbia rappresentato la colleganza fra gruppi di studenti, operatori economici, cittadini di diverse etnie e decisori pubblici, in stato di confronto non casuale su temi e visioni di sviluppo ed inclusione. La prima “raccomandazione” che il progetto pone ai decisori comunali –che come già scritto hanno aderito allo spirito e alle intenzioni dell’iniziativa sin dal primo momento –è dunque quella di dare regolarità ai momenti e tappe di questo confronto. Demopraxia è un modello la cui replicabilità è a costo zero, basta che il Comune e le scuole superiori della città inseriscano fra le buone prassi didattiche quelle di ascoltare e farsi ascoltare reciprocamente, e magari nelle stanze delle decisioni di urbanistica, di cultura, di welfare, di programmazione produttiva si apra una “pratica” virtuale dedicata a queste esperienze e ai suggerimenti che ne derivano.
In ogni caso già in questa prima sperimentazione, purtroppo condizionata dalle misure di distanziamento causate dalla pandemia, sono già state formulate delle “raccomandazioni” all’Amministrazione comunale che i walk about in remoto e alla fine quello in presenza hanno generato. Queste raccomandazioni si riportano qui in analogia a quanto viene trasmesso, per l’appunto, ai decisori comunali, suddivise per area urbana oggetto delle escursioni.
Trasversalmente, i sentieri da percorrere nell’approccio al vissuto si sono riferiti a queste chiavi interpretative:
Mancanza (le criticità da risolvere)
Desiderio (la proiezione ideale che colma la mancanza)
RiScatti (le tracce di memoria del territorio di Lecce comparando antichi scatti fotografici con quelli attuali, dalla stessa angolazione). Un'indicazione da riprendere quando i walk about si potranno fare sul campo, realizzando i "RiScatti" con nuovi punti di vista, ovvero con uno sguardo partecipato, dei luoghi trasformati dalla evoluzione urbana.
Quartiere centro storico. Zone oggetto dell’intervento: Bombarde, Giravolte, San Matteo. I temi su cui si è discusso nei walk about sono stati: un processo di recupero sociale ed economico non equilibrato, dove la movida che rende la città fra le più titolate a recuperare valore culturale anche produttivo dalla “vita della notte” fa i conti con politiche in passato disattente verso i dettagli architettonici, con la presenza di nuclei familiari sia di nativi che di migranti ad alto rischio di emarginazione, e con la sostanziale imprevedibilità del cambiamento socioculturale derivante dalla gentrificazione, grazie alla quale ambienti ed immobili una volta in dotazione a ceti proletari sono stati rivalutati e riacquisiti. Ciò ha comportato il miglioramento fisico di certo patrimonio immobiliare, il cambiamento di gestione da affitto a proprietà, l’ascesa dei prezzi, la trasformazione della destinazione di non pochi spazi –da residenze a locali commerciali prevalentemente per la ristorazione, a b&b e anche resort di lusso -l’allontanamento della popolazione originaria.
Questo squilibrio –per certi versi inevitabile da quando le amministrazioni hanno avviato i progressivi interventi di pedonalizzazione delle aree imprimendo una forte accelerata alla turisticizzazione di tutto il centro storico anche a scapito dello sviluppo della cosiddetta zona nuova verso Piazza Mazzini –non ha intaccato ovviamente alcune caratteristiche storiche e peculiari degli assetti socio-urbanistici della zona: l’esistenza delle “corti”-è stato rilevato-nei walk about –è il segno di un modello sociale di grande respiro civile, prototipo intelligente di connessione dello spazio privato dell’abitazione con lo spazio pubblico della città. Molti studenti non leccesi hanno fatto notare che questo assetto urbanistico riporta immediatamente alle conformazioni di abitazioni civili originarie dei paesi della provincia, dove la vita è sempre stata più “pubblica” rispetto al capoluogo, ed in effetti è così, il centro storico leccese non è dissimile da quello di Galatina, Nardò, Copertino, Maglie, e anche di Comuni salentini con poche migliaia di abitanti, nel quali la corte era annessa a nuclei composti di case di origine contadina ed era spazio multifunzionale, luogo di lavoro, di deposito, di gioco, diremmo in una parola di socializzazione plurifamiliare, caratterizzata anche da una distribuzione degli spazi abitativi in continua evoluzione, per matrimoni sopraggiunti di figli dell’originale patriarcato.
La persistenza delle corti –solari, come la pietra tufacea delle case che vi si affacciano –nel centro urbano di Lecce viene dunque considerata uno dei “segni minori” della bellezza, che oggi non è di immediata percezione, gli stessi studenti non l’avevano considerata patrimonio socio-architettonico sia pur minore, era per loro qualcosa che si dava per scontata, salvo riscoprirne la sobria eleganza aggregante nel momento in cui le corti vengono trasformate in spazi di pertinenza per le cene e le bevute della movida. Il dubbio che qui si è posto allora è stato: c’era bisogno dei bistrot e delle bracerie per capacitarsi di questa bellezza? Il gruppo del walk about ha notato, a questo proposito, che un processo di conoscenza urbana porta inevitabilmente a fare i conti con contraddizioni anche lampanti: si cita ad esempio il caso di una serie di “bassi” nei rioni Giravolte e Chiesa Greca che sino a quindici anni ospitavano donne e uomini occupati a negoziare le loro prestazioni di natura sessuale con viandanti e visitatori occasionali, il tutto in condizioni così insalubri e precarie da rendere l’avventura corporea alquanto imbarazzante; oggi quei locali si sono trasformati in negozi di prossimità e gallerie d’arte e in qualche caso di b&b di lusso dove le antiche stanze degli appagamenti sessuali sono state riconvertite in ambienti relax dedicati al benessere. Una scelta sotto certi aspetti…coerente con il passato, eppure si tratta di soluzioni all’opposto, come se non fosse possibile in questi casi mantenere una linea “media”: si recupera un vecchio “basso” ma non ne si stravolge la destinazione. A dire il vero, si faceva notare nel walkabout che vi fu un tempo negli anni ’90 in cui il Comune aveva compiuto una scelta interessante nell’ambito delle politiche abitative: aveva
acquistato nel rione Giravolte non pochi di questi “bassi” con l’intento di ristrutturarli e concederli in locazione a famiglie aventi diritto ad una casa popolare. L’iniziativa sembrò all’inizio voler aprire una pista che andava nella direzione opposta a quella della espansione cittadina in condomini pluripiano situati in zone rese edificabili, ovvero di opporsi allo spopolamento del centro storico; ma non si sortirono risultati significativi, è noto che costruire ex novo quartieri popolari è assai più economico che ridare dignità a stanze umide e malmesse del centro storico, dunque l’iniziativa si fermo lì, anzi alcuni dei bassi di proprietà comunale divennero appetito di occupanti abusivi, impazienti delle attese delle assegnazioni ufficiali di alloggio.
Come si vede, anche questi episodi marginali sembrano convincerci che le trasformazioni operate negli ultimi decenni nel centro storico di Lecce abbiano alla fine causato il risultato di allontanare i residenti e alzare le braccia rispetto all’esplosione della movida, con l’ovvia conseguenza di un sacrificio pressoché totale della zona all’overtourism, particolarmente quello serale e notturno. Nel walkabout questo aspetto è stato affrontato di petto: dove inizia e finisce il merito del boom del turismo mordi e fuggi, quanto un’Amministrazione può indirizzare norme, regole, standard alla iniziativa privata –quella regolare, naturalmente, non certo quella abusiva –senza con ciò assumere responsabilità che non le sono proprie? Quanto può incoraggiare o scoraggiare l’apertura di nuovi locali, magari vincolandoli alla disponibilità di una superficie con certe caratteristiche e certe dimensioni, quanto può quotare le occupazioni di suolo pubblico (specialmente in epoca Covid…), quanto può garantire una vita acusticamente normale per i residenti, che saranno anche pochi, ma non sono ovviamente scomparsi del tutto? Sono le domande che si sono posti gli studenti stimolati anche dai rappresentanti delle associazioni di categoria, a loro volta impegnati a collaborare perché a Lecce riaprano negozi alimentari di prossimità e botteghe artigiane, in contraltare rispetto ai flussi commerciali che conducono la maggior parte dei cittadini a recarsi nei centri commerciali fuori porta.
Gli amministratori comunali avevano già informato il team di lavoro di Demopraxia della esistenza di un “regolamento dei dehors” che punta a garantire un equilibrio più armonioso tra allestimenti nel plateanico e spazi pubblici, questo appare giusto, sullo sfondo il contrasto fra operatori commerciali e residenti non è di facile composizione, si pensi a quanto le piazzette e le corti concesse ai tavolini dei locali abbiano limitato l’accesso e la sosta dei veicoli, sia pur autorizzati. E qui il suggerimento dei ragazzi dei due Istituti scolastici è stato unanime: la circolazione delle auto in zone a forte vocazione storico-turistica deve ancora più limitato, come è prassi in città che da molti più anni hanno compiuto le scelte di pedonalizzazione. E a conforto di tali politiche, va perseguita l’azione di riportare il basolato nella gran parte del centro storico (a Lecce questa operazione ebbe inizio con un fortunato Programma Urban degli anni ’90), poiché non si passeggia fra i balconi barocchi respirando gas tossici. Va detto che le rivoluzioni culturali non sono scontate: quando diverse amministrazioni fa si cominciò a prendere in esame il proposito di vietare il parcheggio delle auto in Piazza Duomo, la piazza più architettonica del mondo secondo la definizione di Cesare Brandi, la stragrande maggioranza degli operatori commerciali del Corso Vittorio Emanuele e via Palmieri si opposero organizzando anche manifestazioni visibili di protesta, coadiuvati da molti cittadini per i quali percorrere il centro storico con l’auto veniva considerato un diritto. Si pensi che ci si trovava in una città dove quasi tutto il basolato originario del Seicento era stato asfaltato da fiumi di bitume, e ciò la dice lunga sul grado di sensibilizzazione e maturità dell’intero sistema sociale e istituzionale degli anni ’60. Quindi, la strada da percorrere era lunga e tortuosa.
Un altro aspetto su cui si è soffermato il walk about è stato quello della osmosi interculturale come valore intrinseco al centro storico di Lecce, più di altri quartieri. Ciò è sicuramente dovuto alle molte residenze multietniche –i “bassi” di cui parlavamo addietro quando non sono stati trasformati in locali commerciali sono oggi abitati in buona parte da stranieri -, cui si accompagna un’opera di integrazione non di poco conto portata avanti dalle Associazioni delle loro comunità, insieme ai soggetti del terzo settore che operano regolarmente per rendere “valore” le differenze culturali ed etniche, in primis la Fondazione Emmanuel. Segno più tangibile dell’incontro anche religioso è la presenza in centro storico della Chiesa greca intitolata a San Nicola di Mira, punto di riferimento per gli ortodossi di stanza Lecce, ad iniziare dalla comunità albanese. Oggi la Chiesa è anche punto non comune di attrazione per i turisti. In sostanza, il walk about ha rilevato quanto, accanto a fenomeni ed eventi culturali tradizionali e comunque capaci di aggregare i giovani secondo modelli tipicamente occidentali, occorrerebbe nel centro storico dare vita ad un cartellone partecipato con le culture migranti, poiché l’inclusione reale non passi da atteggiamenti di compiaciuta tolleranza da parte dei nativi, ma da un’autentica osmosi, come quella che la Fondazione Emmanuel propose alla città alcuni anni fa, realizzando in Piazza Duomo una “conversazione sul pane”, sinonimo di fratellanza, condivisione, rispetto reciproco.
Sono stati questi gli ambiti più battuti nella escursione online sul centro storico di Lecce: il desiderio che la bellezza di fama mondiale del barocco leccese non divenga argomento da cartolina ma guidi un processo più generale di riqualificazione culturale è stato rimarcato all’unanimità dagli studenti. Desiderio, parola che deriva dal latino “de sideris”, alla ricerca delle stelle. Da ciò che manca perché il centro storico superi le sue contraddizioni, si maturi un disegno complessivo di rigenerazione nella quale il turismo sia una delle componenti di rilievo, ma non l’unica.
Quartiere San Pio. Prima realtà espansiva fuori le mura della Lecce degli anni sessanta, diversamente da Santa Rosa non fa intuire sin da subito una identità precisa, gli insediamenti sono caratterizzati da piccoli condomini dall’estetica discutibile, con una sostanziale assenza di verde pubblico, concentrato com’è in un esteso polmone naturalistica rappresentato da antica villa privata non fruibile, da un Parco di Quartiere ancora in fase di realizzazione e, per fortuna, dal comprensorio di Belloluogo che serve l’intera città ma è più vicino al centro storico e a Santa Rosa di quanto non lo sia al tradizionale agglomerato di San Pio.
Eterogenee le architetture, altrettanto variegata la composizione sociale, composta da un ceto impiegatizio e di piccoli servizi alla persona, integrato più di recente da insediamenti di edilizia popolare ancora meno bella a vedersi e, nelle abitazioni più umile di solito a un piano, inserimenti di nuclei abitativi di migranti, non a caso gli istituti scolastici del rione sono quelli che in città sono frequentati dal maggior numero di bambini stranieri. Ad aumentare la “mixitè” del rione, poi, l’apertura di sedi distaccate ma importanti dell’Ateneo leccese con i suoi diversi dipartimenti e di conseguenza la nascita –sino a ieri imprevedibile –di servizi
commerciali e terziari dedicati agli studenti –protagonisti alla sera di assembramenti in una movida che non ha nulla da invidiare a quella del centro storico –e naturalmente di residenze in locazione a loro destinate.
Il risultato sono una serie di legami relazionali molto diversificati, la interculturalità e la intergenerazionalità hanno modificato certi canoni fissi degli anni ’70, quando la socialità e la socializzazione erano patrimonio pressoché unico della parrocchia che dà il nome al rione e di qualche sezione periferica di partito. Privo di una vocazione specifica, il rione è apparso agli studenti delle scuole nel walk about come sostanzialmente spontaneo, con i pregi ed i difetti della spontaneità, più i secondi dei primi, perché gli agglomerati di edilizia popolare delle ex Case Magno e della piazza della Parrocchia avrebbero di per sé dignità urbanistica per aggregare oltre le mura degli appartamenti, qualche tentativo è stato fatto, ma l’incuria generale –anche da parte dell’Istituto Case Popolari –ed i ritardi nella messa a regime di azioni riqualificanti su cui pure si erano create buone aspettative, ha complicato le cose.
Non è facile spiegare a studenti di un Istituto superiore cittadino come funziona un rione con tante, troppe anime, qualcuno dei ragazzi lo ha conosciuto solo a proposito della movida di cui parlavamo prima, poco sa di certa criminalità di bassa lega che ha gravitato per tempo nei dintorni della Parrocchia, dei Palazzi anni ’50 che ospitarono la Manifattura Tabacchi, 60.000 mq. oggi murati dopo le occupazioni di senzatetto„ esempio incredibile di architettura industriale inaugurata nel 1931 da Vittorio Emanuele III, passata in proprietà ad Immobiliari, luogo dismesso e chiuso da quasi vent’anni, eretto dalla Società di Costruzioni Nervi e Nebbiosi ovvero dalla prestigiosa firma di Pier Luigi Nervi, maestro dell’architettura del Novecento. Ma si sa poco anche della Chiesetta Balsamo e la sua posizione evocativa fra palazzoni i più recenti, non a caso inserita dall’Amministrazione in un progetto di recupero e di utilizzo che favorisca il matching, appunto quella mixitè di cui si parlava; e fa fatica ad uscire nella frequentazione degli addetti ai lavoro perfino il “comprensorio culturale” creatosi intorno alla chiesetta di porgo Pace, grazie al vecchio stabilimento artigianale trasformato da Koreja in residenze teatrali e cantieri di arti varie, a Borgo Pace si ritrova il verde pubblico, quel comprensorio può essere sostenibile ed esemplare, ma torniamo a dire poco conosciuto a chi non ama il teatro. Ne consegue che, ancora una volta, è lecito chiedersi del perché fra i programmi scolastici almeno delle “superiori” non vi siano ore ed approfondimenti dedicati alla conoscenza degli asset di valore della città, dato che è ormai assodato che, Covid a parte, con la cultura si mangia anche.
E allora non sembri strano che proprio in questo rione, tra rigenerazioni promesse e non arrivate, piste ciclabili in rapida espansione (come del resto in tuta la città), parchi pubblici in costruzione, alcuni aperti e poi chiusi perché –come diceva uno studente –“realizzare non è difficile, il problema è mantenere”, qui nasca una Moschea, l’unica della città, come se ad insediarsi in un quartiere dove le culture sono così diverse che la cultura dell’altro non è un problema, sia più facile, ciò non vuole dire che le situazioni rappresentino un modello, ma la matrice popolare della zona e, da ultimo la presenza di tanti studenti universitari, certamente rende l’integrazione meno problematica.
Gli studenti chiedevano, per l’appunto, che rapporti vi siano fra il Parroco e l’Imam. Abbiamo risposto che a quanto ci risulta sono di reciproco rispetto, il quartiere è un pezzo di vita operosa della città, i suoi problemi sono antichi e non complicati dai nuovi arrivati, anzi, le diversità hanno prodotto piccoli, nuovi investimenti, ed è un peccato che la stazione di servizio ex Agip, realizzata a Porta Napoli su progetto di Mario Bacciocchi, primo caso in Italia di stazione di rifornimento cui è stato riconosciuto il vincolo di salvaguardia, non abbia interessato nessuno, visto che è andato a vuoto il bando con cui il Comune intendeva destinarla a luogo di sosta e cultura al servizio del turismo.
Il problema è datato e riguarda la presenza in città di gruppi economici capaci di interpretare visioni innovative del fare impresa, non è la solo la stazione ex Agip ad attendere un gestore, c’è il Teatro Apollo, c’è il Must, ci sono le Mura Urbiche, il complesso degli Agostiniani, la Masseria Tagliatelle, e altro ancora. E’ interessante spiegare agli studenti quanto sia difficile questo in una città del Sud nonostante la sua presunzione di città culturale: per cambiare ruolo all’ex Banco di Napoli –splendida architettura degli anni ’20 –e farne struttura ricettiva c’è voluto un azionista della Società sportiva del Lecce, svizzero di adozione, mentre per il cinema Santalucia non si è trovato di meglio che abbatterlo per farne appartamenti. Con i ragazzi si è discusso di ciò che forse un importante industria regionale, quella del cinema, poteva fare e non ha fatto per il Santalucia: in tanto hanno gridato allo scandalo, da Winspeare, a Rubini, a Oztepek, ma nessuno di loro, o Renzo Arbore, o Scamarcio, rappresentanti della pugliesità su piccolo e grande schermo, ha poi alzato un dito. Tornando a San Pio, ci si lamentava con gli studenti nel corso del walk about della scarsa presenza di verde, di cui si è accennato. L’amministrazione sta avviando un progetto di riqualificazione di Parco Corvaglia, si prevedono rifacimento, strutture, arredi, servizi di aggregazione, spazi sportivi di quartiere e area fitness, con la conservazione delle alberature presenti ed integrazione da nuova vegetazione autoctona. In più, nuovi parcheggi e marciapiedi. Si spera che non debbano passare anni per vedere e fruire la struttura, naturalmente, non sarebbe la prima volta.
Altre iniziative dell’amministrazione sono in itinere, come quella della nascita di un condominio solidale in vecchi e malandati miniappartamenti degli anni ’60, e anche qui andrebbe spiegato ai ragazzi liceali che cosa è un modello di social housing, ovvero sfida nella creazione di un nuovo sistema di servizi diffusi destinati specialmente alle giovani coppie alla ricerca di abitazioni funzionali, con grandi aspettative di solidarietà reciproca e voglia di comunità.
Si diceva che l’ingresso sulla scena degli studenti universitari potesse rappresentare la svolta; inutile interrogarsi su un’anima di quartiere, meglio prenderlo per quello che è, ovvero una torre dalle tante finestre, dove si leggono porzioni diverse del mondo. Alcune Associazioni culturali hanno compreso questa direzione e si sono cimentate in azioni di forte inclusione culturale basate sulla circolazione dei libri e sulla diffusione di forme d’arte collettiva non convenzionali, “benedette” laicamente dalla parete di street art dedicata alla grande Rina Durante, evocata sui muri al pari di Carmelo Bene ed Edoardo de Candia. Come se alla fine anche in un quartiere trascinato dagli eventi e ritrovatosi a subire le scelte più che a farle, non sia troppo tardi per esplorare vie nuove di convivenza positiva.
Quartiere Santa Rosa. Quartiere più conosciuto di altri, poiché è probabilmente il quartiere più storicamente ed architettonicamente definito della città, nato nei primi anni ’50 e concepito come una piccola città nella città, sulla scorta degli insediamenti residenziali, per quanto popolari, delle città industriali del nord. Gli abitanti cui erano destinate le abitazioni in piccoli condomini a schiera assai vivibili erano tendenzialmente operai, in linea con i fabbisogni dei primi insediamenti industriali nella periferia nord di Lecce, cui il quartiere era geograficamente annesso. Come gli studenti hanno potuto vedere dagli storyboard delle escursioni on line, il quartiere aveva tutto per sentirsi autonomo dal centro cittadino: la scuola, la chiesa, il mercato agroalimentare, la fontana, spazi verdi a misura d’uomo, campi e attrezzature sportive “condotte” dallo staff di una parrocchia da sempre particolarmente dinamica (da cui sono usciti solo di recente due Vescovi…), le poste, la farmacia. Forse mancava una banca, ma evidentemente non era una presenza necessaria, tanto il libretto postale (la “libretta”) la sostituiva in toto. Ora, una giusta osservazione posta dagli studenti ha riguardato quella che, rispetto a un tempo , appare come una desertificazione commerciale: sono pochi, infatti, gli esercizi di prossimità ancora aperti per servire una popolazione che si è naturalmente evoluta per età e ceto sociale ( gli appartamenti di Santa Rosa cominciano ad essere attrattivi per le giovani coppie, sono immersi nel verde, piccoli ma funzionali, costano poco e con poco si ristrutturano, quando non piaccia mantenerli con le caratteristiche costruttive dell’epoca). “Chiuso” fra la direttrice che porta alle marine leccesi e il moderno rione dei Salesiani, Santa Rosa avrebbe le condizioni per difendere la propria identità assai precisa, se solo riprendessero livello i servizi pubblici e commerciali di prossimità: sull’arredo urbano, è di questi giorni l’inizio dei lavori per il ripristino della fontana, un po’ il simbolo del Quartiere, che non zampillava da decenni ed era diventata ricettacolo stagnante di insetti e altro.
Facile intuire –come è stato con gli studenti delle due nostre scuole partner –che in un Quartiere di tali fattezze e di tale storia, bastava poco per fare aggregazione, tutti conoscendo tutti, e tutti esaltando la propria residenza: ad un certo punto, sembrava quasi che “vivere a Santa Rosa” fosse altro rispetto a vivere in città, tale era l’orgoglio in particolare dei giovani, che facevano attività sportive come pochi, erano abbastanza politicizzati, amavano la musica e le feste di quartiere. In questo solco, ancora oggi la Parrocchia sceglie di stare in strada, coinvolge persone in decine di attività di solidarietà ed integrazione, assicura pasti
caldi ai non abbienti, non guarda in faccia alle appartenenze e alle fedi, come è nella sua missione.
Epperò, nel walk about l’immagine di serrande abbassate e aiuole non più curate è diventata ad un certo punto prevalente ed ha indotto gli studenti a chiedersi se l’Amministrazione comunale avesse in programma un intervento di recupero e ridisegno urbano per Santa Rosa. La risposta è stata affermativa, a parte la Fontana si provvederà a rimuovere e sostituire molta pavimentazione sconnessa, a sistemare le storiche aiuole con nuove alberature e si interverrà anche nel Parco Baden Powell in fondo alle vie per Torre Chianca, realizzando una pista ciclabile fra i nuovi percorsi a verde.
Insomma, ai ragazzi del walk about Santa Rosa è piaciuta, nonostante sia così datata, forse perché fa tendenza tutto ciò che è vintage, dagli arredi, ai vestiti, agli stessi modi vivere e di rapportarsi, persone insieme a persone, dimensione che a Santa Rosa era e tutto sommato è rimasta presente a differenza di molte altre zone cittadine. E si notava anche il grande valore rappresentato dal rapporto verde-abitanti, ovvero spazio e vita pubblica e singolo cittadino: non vi è quartiere migliore del Santa Rosa per ospitare il “nuovo Campo CONI”, altro polmone che pur non potendosi definire servizio di quartiere per le sue dimensioni e la sua funzione, tuttavia è giusto che si trovi lì. Gli studenti dei due Istituti lo conoscono, ci sono andati a correre, ed a maggior ragione lo faranno ora che l’Amministrazione inizierà i lavori di efficientamento e sicurezza, per trasformalo nel più grande parco di Lecce, orientato anche ai servizi più innovativi di accessibilità, con soluzioni di design della pavimentazione che consentono la fruizione ai non vedenti.
E poi c’è la cultura. Come nei quartieri periferici milanesi abituati a “far da sé”, anche a Santa Rosa tengono a non lasciarla ai margini, dialogano con il sistema pubblico, ne apprezzano alcune soluzioni, come la Biblioteca per bambini “Acchiappalibri”, affiancano progetti inclusivi come “Officina adolescenti” e “Dalla carta all’inchiostro” (educazione alla lettura e all’arte di fabbricare libri d’arte rivolto a ragazzi nativi e stranieri), sperano sempre nell’esplosione di quel grande contenitore già paraindustriale che sono le Officine ex CNOS, dove la produzione culturale è di casa, sia pure con le solite, amare difficoltà di un mercato che da solo non basta ad assicurare longevità alle imprese culturali.
Uno spaccato che ha interessato assai gli studenti delle escursioni on line. Alcuni di loro hanno ammesso che la visione del Santa Rosa ricordava quelli di alcuni loro Comuni di residenza, dove le relazioni interpersonali contano ancora. Come si diceva, una piccola città nella città.
Quartiere Ferrovia. È il Quartiere dove sono ubicate le due scuole che ci hanno seguito in questo progetto e hanno partecipato ai walk about on line. In linea puramente teorica, è il quartiere che gli studenti dovrebbero conoscere meglio, anche se è ben noto che non esistono materie che usano approfondire né i rapporti con la comunità urbana che ospita una scuola né con la storia della medesima. Va anche detto che una parte non marginale degli studenti non sono leccesi ma provengono da Paesi della provincia, il chè significa che conoscono Lecce per il tragitto dal mezzo pubblico all’Istituto, o forse per alcune incursioni nel week end, che però certamente non sarebbero deputate alla conoscenza del Quartiere Ferrovia. La realtà è che i processi di straordinaria trasformazione urbana che la città sta destinando alla sua “soglia” (appunto, la demarcazione del tessuto urbano operata dai binari) non rientra negli interessi e dunque nelle conoscenze dei ragazzi, ai quali quando è stato detto che la Stazione di Lecce sarà ribaltata, ovvero si aprirà un accesso dalla parte opposta all’ingresso di oggi, sono cascati dalle nuvole.
Dal momento che tanto accadrà a poche centinaia di metri dalle loro aule, l’episodio è stato considerato esemplare per una futura, diversa cognizione nei programmi didattici sulle “trasformazioni urbane”, quando esse sono di grande impatto sociale, ancor prima che urbanistico. Il walk about è partito dunque con la illustrazione ragionata del progetto di ribaltamento della Stazione, ovvero con l’utilizzo del Parco delle Cave. Con importanti finanziamenti, infatti, è in corso la bonifica ed il recupero di un'area di eccezionale valore geo-antropologico, è stato recentemente realizzato un ponte avveniristico che consente i camminamenti sulle voragini, ristrutturata la Masseria Tagliatelle (che Fondazione con il Sud ha inserito in un bando ad hoc per
affiancare la nascita di una start culturale e sociale) e riportato a fruizione il cinquecentesco "Ninfeo delle Fate". Marciapiedi nuovi e manto stradale nelle vie limitrofe al grande giardino, l'intervento inciderà profondamente sulla viabilità cittadina insieme alla realizzazione del nodo intermodale e del parcheggio di scambio, perché andrà a decongestionare il traffico quotidiano sui viali interni, soprattutto viale Gallipoli. L’accesso alla stazione, infatti, avverrà da Viale Grassi, anche se resterà fruibile anche quello su viale Oronzo Quarta, dando vita al cosiddetto Parco Ovest con quattro binari. Inoltre, è previsto il prolungamento del sottopasso per collegare le due parti della stazione, arrivando così al Parco delle Cave di Marco Vito. Percorsi pedonali, rampe e una grande piazza caratterizzeranno l’ingresso della stazione, dove, oltre agli uffici e ai servizi come biglietteria e sale d’attesa, sarà realizzato anche un parcheggio interrato di circa 300 posti e un terminal bus che potrà ospitare fino a 20 pullman.
I ragazzi hanno voluto maggiori informazioni sulla Masseria Tagliatelle che in effetti si erge con una struttura visibile per chi percorre la vecchia circonvallazione di Lecce. La Masseria è stata infatti oggetto dell'elaborazione di un'azione inedita di partecipazione cittadina, condotta da un'associazione di promozione sociale CAViE che ha curato la sperimentazione temporanea di attività culturali di valorizzazione del bene, creatasi in seguito al laboratorio partecipato “Cosa siamo capaci di fare” tenutosi due anni fa e realizzato dall’assessorato alle Politiche Urbanistiche e Valorizzazione del Patrimonio del Comune di Lecce.
Il progetto ha "immaginato" Masseria Tagliatelle come luogo accogliente, multifunzionale e innovativo, collettore e attivatore di idee e progetti; un luogo che contribuisca a potenziare il ruolo delle politiche pubbliche di sostegno alle attività di iniziativa economica, imprenditoriale e sociale; un luogo che riattivi le connessioni; un magnete per turisti attivi, stazione di sosta e soggiorno per esperti nazionali ed internazionali, artisti, designer, imprenditori, manager culturali desiderosi di interagire con i fruitori locali in momenti di formazione e incontri informali. Masseria Tagliatelle potrà diventare una “stazione di servizio” per la comunità, un hub in cui convergono le realtà attive e potenziali, dove vengono condivise le “doti” di partenza dei singoli soggetti e messe a sistema per innescare processi di incubazione, accelerazione e catalizzazione di progetti ad alto impatto.
Ma non è tutto. Accanto alle Cave, geomorfologicamente connessa ma nello stesso tempo autonome, vi è Foresta urbana di Lecce, richiamata da "Repubblica" in un articolo del gennaio 2017, realizzata dal W.W.F. nelle cave di circa 6 ettari a ridosso di via San Cesario, da cui si è estratta per secoli la pietra leccese, progressivamente abbandonate dopo la seconda guerra mondiale e spontaneamente divenute oasi di biodiversità grazie a particolari condizioni microclimatiche che consentono la vita di flora spontanea, antiche coltivazioni, ma anche specie vegetali esotiche, alberi da frutto antichi, oltre naturalmente alla macchia mediterranea e al patrimonio faunistico. Negli ultimi anni, il W.W.F. ha lavorato per la bonifica, la messa in sicurezza ed il ripristino dei sentieri di visita, segnaletica, recupero dei muretti a secco, e su prenotazione organizza visite, attività ricreative, culturali; naturale che agli studenti –ignari di quanto è stato rivelato –è apparso subito opportuna non solo una visita alla Foresta, ma anche un indirizzo di lavoro per il suo storytelling (recupero oggetti, frammenti, oggetti vintage che ricostruiscono vicende di uomini e donne ed epoche), con la coltivazione di piante aromatiche e medicinali da realizzare in collaborazione con il WWF. In linea d'aria, la Foresta si trova a due chilometri dalla parte delle Cave oggetto del recupero ideato da Alvaro Siza ove sarà aperto il nuovo accesso alla Stazione ferroviaria di Lecce.
Questo per quanto riguarda “l’oltre stazione”. Ma il Quartiere Ferrovia è anche parte integrante della città e la questione che ci sé posta è se questa nuova veste della Stazione ferroviaria coincidesse con la riscrittura di un rione (quello di via Don Bosco e altre vie limitrofe al viale Gallipoli) molto provato da degrado sociale, con presenze non secondarie di accattonaggio e senza dimora (emergenze per le quali Fondazione Emmanuel ha appena inaugurato un Centro di prossimità “Stazioniamo”) nonché residenti di varie etnie che ne hanno fatto il centro direzionale dei loro insediamenti commerciali in città, con alcune vie ( via Duca degli Abruzzi) che appare come è a Roma una via dell’Esquilino. Ebbene, in attuazione del Fondo per l’innovazione sociale, proprio accanto al complesso della Stazione, un vecchio magazzino ricambi e rimessaggio delle Autolinee Sud Est è stato destinatario di un progetto integrato dio riqualificazione e start up, “Officine del Mezzogiorno” si chiamerà, un hub dell’innovazione rivolto alle giovani generazioni, dunque ai nostri
studenti, per intercettarne i bisogni e fornire risposte in termini di avvio d’impresa. Luogo di conoscenza, competenza, formazione, civismo attivo.
Sempre nel Quartiere, poi, sono più che mai attivi, ovvero rinati a nuova esistenza, due contenitori storici dell’offerta culturale pubblica della città: la Biblioteca “Bernardini” con l’ex Convitto Palmieri ed il Museo Castromediano, rinnovati –da quando sono transitati alla Regione –nei loro intenti, la loro strategia, la loro visione, che è quella di aprire al contemporaneo e di dimostrare che le forme d’arte più innovative non sono altra cosa rispetto ai vasi greci o alle cinquecentine. Laboratori di comunità essi sono diventati. E sotto questo aspetto erano già conosciuti, questa volta, dai nostri studenti, non solo come scrigni del genius loci salentino, ma come inventori di un rapporto inedito per questo territorio fra memoria e dinamiche della trasformazione in atto.
Sul finire del walk abot on line sul “Ferrovia”, i docenti hanno ricordato che circa un anno prima (maggio 2019) Rai Treaveva mandato in onda una puntata di "Report" sulla valorizzazione del capitale umano diffuso in una prospettiva di sviluppo urbano inclusivo, citando l'esempio di Milano. E' noto che nella metropoli lombarda la capacità collettiva di rivivere e trasformare gli spazi e le relazioni costruite attorno ad essi ha determinato negli anni la prototipazione di un modello didesign ricostruttivo. Ma la trasformazione presuppone la conoscenza, come suggeriva Tolstoj:“Se descrivi bene il tuo villaggio parlerai al mondo intero”, principio che fa capire quanto sia importante essere consapevoli della propria identità al contempo proiettandola in una dimensione interculturale, cercando di misurarci con il mondo, senza rimanere prigionieri nella propria memoria. Ma c’è anche Papa Francesco fra gli ispiratori autorevoli del modello di lavoro che ha voluto lanciare Demopraxia: la “cura della casa comune” richiamata in Laudato sì èla chiave che spalanca le porte, quelle di casa, dei ruderi dismessi e perfino delle chiese. Da Milano a Lecce, questo walk about è stato un progetto sulla resilienza e la memoria urbane, rivolto ad un'area della città di Lecce (il Quartiere Ferrovia) "separata" dal centro e dalle zone di espansione residenziale a causa della linea ferrata, dunque contrassegnata da una precaria identità di periferia; eppure, oggi inserita in una svolta sociale ed urbana che le riconsegnerà una meritata centralità.
Casermette-Aria Sana. La scelta di inserire questi due rioni nei walk about di Demopraxia non è stata scontata. Il programma poteva prevedere un’escursione al Quartiere Leuca, oggetto, anzi soggetto di un piano di riqualificazione derivato da un Laboratorio Urbano aperto per oltre un anno alle proposte della comunità; o poteva comprendere il Quartiere Stadio, una città a parte, 24.ooo abitanti di estrazione popolare o impiegatizia, sino a ieri corpo estraneo della città, oggi molte cose sono cambiate, agglomerati, servizi a verde, due parrocchie molto attive, street art. insomma non mancava il terreno per indagare. Epperò con la scoperta di Aria Sana e Casermette si “chiude” la finestra sul Quartiere Ferrovia, poiché questi due rioni ne fanno parte, si può dire che il Liceo Virgilio è situato proprio a ridosso delle Casermette, quindi alla fine è sembrato giusto concludere il reportage partecipativo indagando su zone che negli assetti urbanistici cittadini possiamo definire minori, contrassegnati come sono dalle residenze e dai servizi sorti ai lati delle direttrici per Galatina ( Aria Sana) e per Monteroni-Porto Cesareo (Casermette). Sino a ieri, due arterie conosciute solo come vie di transito autoveicolare. Oggi, inserite a pieno titolo nello sviluppo di un’area a forte connotazione sanitaria (Ospedale civile, Case di Cura private, Laboratori medici) e universitaria (il Polo di Ecotekne con la presenza di diversi corsi di studi dell’Ateneo leccese). Ma non sembra che la vicinanza del Polo abbia stimolato gli abitanti delle Casermette e neanche dei piccoli imprenditori immobiliari ad immaginare strutture agili di residenza per studenti, che spesso preferiscono andare a risiedere a Monteroni, 12 km da Lecce, ma attrezzato per le loro esigenze.
Trasformazioni che hanno profondamente mutato l’immagine ed il ruolo dei due rioni, che rimangono in attesa di una migliore connessione con la città, che hanno bisogno di spazi fruibili da minori, ragazzi e, in genere, pedonabili, che si interrogano su un futuro sociale che non sembra annunciare evoluzioni rilevanti. Si intende qui affermare che l’aumentato volume di traffico per le novità di cui abbiamo appena accennato non è stato accompagnato da una accorta e contemporanea politica dei nuovi servizi, in Aria Sana grandi lottizzazioni hanno dato vita ad agglomerati residenziali un po’ amorfi, quasi un’invasione di nuovi residenti
calati in una realtà sconosciuta, situazione diversa alle Casermette dove la popolazione è sempre la stessa, distaccata da una zona ancora più periferica di ville di lusso costruite trent’anni fa, ma priva ormai di quel lievito che era rappresentato dai soldati delle Caserme, che magari nel tragitto a piedi per raggiungere il centro non mancavano di fermarsi e consumare negli esercizi commerciali di via Monteroni. Per tanti anni sede di pluriservizi di leva, oggi sottoutilizzate, altimuri di cinta che oscurano la vista, contenitori semivuoti se non fosse per la Scuola delle truppe blindate, ex Scuola di Cavalleria, che resiste ancora.
Per quanto ancora non si sia ancora delineata una prossima, auspicabile, revisione della destinazione d’uso delle caserme in disuso, ci viene da pensare a quanto sarebbe importante iniziare a considerare un’interazione con questi mondi militari. Visto anche le risorse di cui godono sarebbe interessante iniziare a considerare delle possibili collaborazioni con queste realtà tradizionalmente intese come separate dalla vita pubblica. Nel walk about on line sono state ricordate alcune esperienze avviate anni fa in Friuli, in terra di confine, con infrastrutture militari in totale abbandono riconvertite alla vita sociale e culturale. Ed è stata questa l’osservazione più ricorrente nei ragazzi: perché non “aprire le caserme” alla città? Al di là delle oggettive difficoltà di un’operazione del genere, rimane la suggestione della costruzione di un rapporto che prima c’era e ora no.
Ma alle Casermette c’è anche l’Acquedotto pugliese. Un’infrastruttura formidabile che gestisce reti idriche per oltre 21 000 km, anche se soffre di percentuali significative di perdite fisiche che ammontano a circa il 36% del flusso idrico. Gli assetti monumentali delle torri dell’acqua e alcuni complessi edilizi campeggiano nella zona di Casermette e ci fanno interrogare a quanto sarebbe importante progettare una loro riconsiderazione pensando ad un nuovo assetto degli spazi pubblici. In ogni caso , queste sono state le proposte dei ragazzi per questi rioni: alle Casermette il ridisegno della strada delle tre colline, asse oggi molto frequentato dai podisti, perchè venga pensato come corridoio verde, una “strada parco”; riqualificazione della sezione viaria di via Monteroni per facilitare attraversamenti pedonali e percorsi ciclabili; il ridisegno dell’incrocio del Bar Stop; il recupero di alcune testimonianze storiche all’interno della sede dell’Acquedotto Pugliese su via Monteroni; la riqualificazione degli spazi pubblici e di alcune attrezzature di quartiere con la sostituzione delle pavimentazioni e l’incremento delle alberature e zone verdi. La zona di Aria Sana soffre delle stesse criticità di Casermette in un contesto urbano “disintegrato” lungo le vie provinciali d’uscita da Lecce. Tra i problemi individuati: l’urgente riqualificazione di strade come via San Cesario; l’assestamento della viabilità minore; la realizzazione di un parco a verde attrezzato lungo via Gino Rizzo. Un segnale d’allarme arriva dal rischio scomparsa di una scuola elementare. Aria Sana è anche carente di servizi di prossimità e attende con urgenza la ridefinizione dei propri margini urbani con gli spazi aperti della campagna che li cinge. Un dato rilevato sul territorio è il senso di insicurezza dovuto all’oscurità di alcuni luoghi pubblici. Una risposta a questa mancanza prevede la realizzazione di illuminazioni in spazi che siano individuati dagli abitanti come insicuri. Tali illuminazioni potrebbero inserirsi nel contesto urbano, anche attraverso opere artistiche che interpretino il luogo, cercando di valorizzarlo. I sistemi di illuminazione adottati dovrebbero essere a basso impatto ambientale, mediante innovativi meccanismi di risparmio energetico, con sensori che attivano le luci al passaggio di auto e pedoni, per ridurre i consumi energetici. Ci piace pensare che una progettazione creativa e partecipata di arte pubblica possa illuminare una strada buia.
La stessa progettualità creativa grazie alla quale un gruppo di studenti del “Presta Columella” realizzò alcuni fa una mappa culturale e tematica dell’Anfiteatro di Rudiae, che sorge accanto alla Scuola. Escursioni e produzioni interattive, con licenza di spaziare dalla archeologia alla storia, dalla letteratura al teatro. Così gli studenti imparano ad uscire dalla scuola, rimanendo impegnati in una formazione diversa e per certi versi più esauriente. Un po’ come ha cercato di fare Demopraxia.
Marine di Lecce. Problemi strutturali a causa di omissioni, assenze e ritardi dell'intervento pubblico, ma anche di imprevedibili sovrapposizioni istituzionali nella governance del territorio, basti come esempio la vicenda di una struttura ricettiva -di cui le Marine sono prive -che dovrebbe prendere il posto dei ruderi dei dismessi insediamenti commerciali della "Rotonda" di San Cataldo: c'è il progetto, c'è l'imprenditore
interessato, c'è una oggettiva esigenza del mercato, c'è il bisogno di riqualificazione ambientale, visiva, etc., eppure i'iter è fermo. Ma un po' tutte le marine risentono della mancanza di una politica integrata di scelte pubblici e servizi privati, sesi eccettuano quelli degli stabilimenti balneari che in ogni caso poco hanno fatto per innovare i propri standard, con qualche eccezione. Per il resto, la collocazione delle Marine e la loro distanza dal capoluogo sarebbero-10 Km. -talmente ideali da giustificare una decisa virata a favore della realizzazione di veri e propri "giardini a mare" della città. L'idea che i nostri studenti hanno sulle marine leccesi rispecchia la percezione comune dei giovani salentini: davanti alle attrazioni di mari e livelli di servizi come quelli offerti da Gallipoli, Otranto, Castro, Leuca, non sorprende che contesti come quelli di San Cataldo, Torre Chianca, Spiaggiabella, Frigole vengano visti con estrema sufficienza dai millenium, e non sono le sagre paesane o i concertini sulla spiaggia a invertire la rotta.
E' sì che anche qui, come in tutto il Salento, si respirano storia e arte, come si evince dai pannelli ecosostenibili in cui vicino al vecchio Porto Adriano è descritta la San Cataldo del secondo secolo d.C.: epoca dell’imperatore che dette nome al molo, citato da Pausania. Anche nel Medioevo si visse un’epoca florida di scambi commerciali con Genova e Venezia, sino a quando le incursioni dei turchi lo permisero. La marina venne collegata alla città nel 1833 con una strada di pietrisco da Ferdinando II di Borbone, nel 1898 si inaugurò la tramvia elettrica( notizia ovviamente sconosciuta agli studenti delle due scuole, che hanno giustamente notato come le scelte di mobilità ecologica fossero nel secolo scorso più accorte di quelle odierne...), e si avviò un’opera di bonifica da paludi e malaria, si rimboschirono le pinete e sorsero i primi camerini da bagno, preludio ad una svolta che sembrò arrivare negli Trenta: Achille Starace inaugurò la strada asfaltata, negli stabilimenti non più in legno ma in pietra si organizzavano eventi mondani, feste e ricevimenti, e, nel 1939, un albergo; i bagnanti potevano raggiungere la marina con il servizio di corriere dalla città che partiva dalla Villa comunale, e accanto all’albergo, si stabilizzò l’attività della Colonia marina gestita dalla Gioventù italiana del Littorio.
Fu con la Seconda guerra mondiale tutto cambiò: gli Alleati fecero di San Cataldo una terra di bivacco, un’antica masseria sulla strada che univa Lecce al mare fu utilizzata come caserma e scuola rurale, negli stabilimenti balneari si allestirono gli alloggi per le truppe e alla fine ricostruire non fu semplice. Negli anni Cinquanta San Cataldo tornò ad attirare i leccesi e spuntarono” figure nuove: il fotografo da spiaggia, il venditore di cocco e mandorle, il noleggiatore di sandalini, i campeggiatori, le corriere in servizio...ma il boom degli autoveicoli privati fece conoscere ai leccesi altri mari della provincia e dagli anni'70 si può dire che San Cataldo non si è mai più ripresa.
Storia meno roboante ma non per questo secondaria quella di Torre Chianca, ch eprende il nome dalla torre costiera cinquecentesca fatta costruire nel 1569 da Carlo V di Spagna, per proteggere il Salento dagli attacchi dei Saraceni. Il Borgo di Torre Chianca nasce come derivazione dal borgo di Case Simini, dove nel ‘700 le Masserie costituivano il cuore pulsante della vita sociale ed economica dei borghi del litorale leccese. La grande spinta all’urbanizzazione inizia tra le due guerre, tra 1920 e 1952, quando l’Opera dei Combattenti acquista dei terreni per la bonifica e la trasformazione in campi fertili e si è poi stabilizzata negli anni ’70 del 900 quando si riscoprono le marine come luogo di villeggiatura e su terreni per lo più agricoli iniziarono a sorgere casette abusive prive dei servizi necessari, dove le famiglie (non solo leccesi) erano solite trasferirsi nel periodo estivo. Torre Chianca nasce sotto la spinta della multiculturalità poiché: accanto ali avventori leccesi si affiancavano gli emigranti che spesso tornavano con coniugi stranieri. Oggi la comunità è variegata poiché al nucleo primigenio si è aggiunta una numerosa compagine britannica, che, investendo nel settore turistico delle case vacanza, ha fatto crescere il flusso proveniente da oltre Manica.
Altra sorpresa per gli studenti -anche qui bisogna lamentare il mancato inserimento nei programmi scolastici di nozioni e visite guidate al patrimonio naturalistico circostante, ricordiamo il caso della Foresta Urbana del WWF -il Parco Naturale Regionale di Rauccio, residuo dell’antica foresta di lecceti, costituito da diverse zone umide di pregio come la specchia della Milonga e dal Bacino dell’Idume, dove sfocia l’omonimo fiume sotterraneo che attraversa Lecce. Il bacino è ricchissimo in biodiversità ed è posto sulle rotte migratorie dell’aviofauna. E infine Il fiume Idume che lega la storia di Torre Chianca alla storia di Lecce sotterranea in quanto il fiume scorre “sotto” la città ed è possibile seguirne e “sentirne” il corso nei vicoli e
fra le cantine dei più vetusti ed attraenti palazzi barocchi. Nélle sorprese naturalistiche si fermano qui: a Frigole si spera in un rilancio del bacino di Acquatina -già sede di itticoltura a cura della locale Università -come parco naturalistico e luogo di sport acquatici: zona umida costiera con acqua salmastra retrodunale, l'oasi presenta tutte le condizioni di interesse faunistico e vegetazionale che va oltre quello degli addetti ai lavori.
Che cosa si sta programmando per una inversione di tendenza? È naturalmente questa la domanda che gli studenti hanno il diritto di porre all'Amministrazione, e le risposte sono state abbastanza articolate-Innanzitutto, sono in corso i lavori di riqualificazione della Darsena, potenziamento delle reti idriche, fognarie e del gas metano. Il tutto è inserito in un Piano comunale delle Coste che finalmente prevede una diversificazione dell'offerta turistica combinata con quella naturalistica, sportiva e culturale, come i ragazzi delle due Scuola avevano immaginato. Ulteriore proposta dei ragazzi, quella di realizzare un complesso di residenze per giovani presso il vecchio Ostello, che riparte da ciò che già organizzano in quella pineta alcune coraggiose associazioni culturali e si collega con i progetti di Lecce città che legge, videomapping, storytelling. Meritorio anche l'inserimento del faro di San Cataldo in un laboratorio sul paesaggio e gli ecosistemi, in sostanza tutti progetti che tendono anche a creare "altro" rispetto alla fruizione del litorale sabbioso, soggetto alle erosioni tipiche del basso Adriatico, coerentemente con la vecchia opzione di "trasformare le marine di Lecce in un giardino a mare".
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