MaBiP - Manifesto per la Bioeconomia in Puglia
#pugliapartecipa; #bioeconomia; #economiacircolare; #partecipazione; #laboratori Processo partecipativo per la BioEconomia in Puglia
Perspectives in bioeconomy: strategies, Green Deal and Covid19
Marco Marchetti, Marc Palahí
Abstract
The importance of a sustainable and circular bioeconomy in achieving the Sustainable Development Goals (SDGs) has been recognized at various political levels. The EU Green Deal is one of the most transformative European political initiatives in recent decades. However, such a great vision and ambition can not be delivered without looking at the essence of the economic model we have created, without fundamentally rethinking the way we produce and consume. What is needed is a system change. We have to connect and implement transformative policies holistically to achieve the systemic change that is urgently needed. The bioeconomy, a circular economy based on renewable biological resources and sustainable biobased solutions, could certainly contribute. Three features could help to connect the dots in the Green Deal: bioeconomy is fundamental for inclusive prosperity and fair social transition; moving towards a carbon neutral EU requires moving towards fossil-free energy and fossil-free materials, to replace carbon intense products, such as nanocellulose, wood based textiles, wood engeenering; address the past failure of the economy to value nature and biodiversity. Biological diversity determines the capacity of biological resources to adapt and evolve in a changing environment and is a prerequisite for a long-term, sustainable and resilient bioeconomy. Therefore, bioeconomy is a great opportunity to modernize and make industries more circular: renewable biological resources, like forest resources, are, if managed sustainably at local and responsibly at global level, circular by nature and often easier to manufacture. The potential and crucial role of forests and forestry is not yet addressed enough at European level. Some good examples from member states and economic sectors should be adopted as the main way to promote sustainability at all levels, social, ecological, economic. The stewardship of forest ecosystem services such as biodiversity provision, hydrogeological protection and landscape conservation has increased. In addition to the main dramatic role for the conservation of biodiversity and the mitigation of climate crisis, forests could pave a strategic road to the creation of new green jobs, tackling the new direction that are requested after the current time of pandemic for rethinking our common future. Also in Italy, nowadays the conditions are ripe to plan for a responsible management of the natural capital in the country’s forests.
Introduzione
È ricorso in questo periodo un importante anniversario del movimento ambientalista: 50 anni fa si svolse la prima giornata della terra, “Earth Day”. Oggi la pandemia da Coronavirus è l’ennesimo richiamo a fermare il continuo superamento dei confini planetari e il consumo di risorse naturali. Più ancora che negli anni Ottanta, si tratta di connettere prospettive differenti con l’obiettivo di individuare una crescita equilibrata. I processi di deforestazione, urbanizzazione, frammentazione ecologica e del paesaggio, con le peculiari differenze che caratterizzano le diverse regioni del pianeta, sono state da tempo riconosciute come predisponenti, ma ora anche determinanti nella trasmissione e forse nella stessa diffusione delle zoonosi.
Mentre IPCC da tempo mette in guardia circa la crisi climatica e i suoi effetti (siccità, ondate di calore, eventi estremi) sulla salute umana, per i cambiamenti nelle dinamiche delle malattie infettive e l’inasprimento delle difficoltà sanitarie, IPBES segnala il circolo vizioso e le rischiosissime retroazioni che il declino della biodiversità comporta a livello planetario. Dunque, la comprensione e il riconoscimento delle interazioni tra umani, animali e sistemi ecologici, naturali e non, è divenuta prerequisito anche per trattare le minacce alla salute globale, oltre che alla sicurezza e giustizia alimentare. Appare evidentemente corretto l’approccio “One Health” che lega ecologia, benessere animale, salute delle piante e degli uomini in una struttura unica capace di indirizzare tutti gli aspetti generali, incluse le epidemie. Un concetto più inclusivo del dibattito che contrappone biodiversità e pandemie. Anch’esso però, come tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile presuppone visione sistemica, uso di modelli complessi, integrazione di conoscenza e consapevolezza dell’interdipendenza di molteplici fattori, per lo sviluppo delle politiche sanitarie, ambientali e socio-economiche a livello globale. I problemi del nostro tempo sono tutti interconnessi e interdipendenti, come continuamente ricorda all’intera comunità umana Papa Francesco, dall’Enciclica “Laudato Sì” del 2015. Sono tutti “problemi sistemici che richiedono soluzioni sistemiche, ma se questa consapevolezza è ancora poco sviluppata negli individui, nell’economia e nella stessa accademia, ancora meno lo è in politica” (F. Capra, fondatore del Centre for Ecoliteracy, Berkeley, 2020).
D’altra parte la pandemia ci ha indicato che, volendo, possiamo fronteggiare le prove più ardue come dovremo fare anche per il surriscaldamento del clima e il declino della biodiversità, le due evidenze maggiori della crisi socio-ecologica. I valori e le priorità stanno già cambiando: in poche settimane, è stato possibile sospendere, in qualsiasi parte del mondo e nello stesso tempo un sistema economico a detta di tutti impossibile da rallentare o ri-direzionare ed è apparsa la consapevolezza del ruolo essenziale del sistema agroalimentare e delle sue connessioni ecologiche e necessità di trasformazione in senso sostenibile. Dunque cambiare è possibile anche se bisogna vigilare, non concedere tempo ai rinvii, e non ignorare l’eredità delle crisi precedenti, alle quali è sempre seguito un aumento delle criticità ambientali e delle diseguaglianze, verticali e orizzontali, che sono sempre cresciute con la temperatura, in un circolo vizioso continuo. Ma se l’impatto sulle emissioni potrà essere di breve periodo, i cambiamenti nelle abitudini e nella percezione delle priorità potrebbero costituire un passo avanti decisivo verso una società sostenibile, un’opportunità unica.
Le foreste, i sistemi agro-forestali, le piantagioni urbane ed extraurbane, gli alberi fuori foresta, la selvicoltura dunque e tutte le filiere forestali, quali maggiori infrastrutture verdi del continente (e del nostro paese, come emerge dalla recente proposta di Strategia Forestale Nazionale), sono pietre angolari della bioeconomia europea e tra i maggiori contributori alla mitigazione della crisi climatica. La velocità e la scala dello sviluppo di una bioeconomia forestale europea dipende da questioni cruciali, quali lo sviluppo dei mercati e dell’innovazione tecnologica dentro e fuori dal settore, la dinamica globale della disponibilità e della domanda di biomassa forestale, la capacità politica internazionale ed europea nel promuovere e imporre con forza i principi della responsabilità nella gestione forestale sostenibile. La bioeconomia forestale è infatti fortemente dipendente dalla globalizzazione, dalla digitalizzazione e dalle interazioni con altri settori produttivi, in particolare: agricolo, edile, energetico, tessile, chimico. Dunque le foreste non sono solo biodiversità ma anche tanti servizi e funzioni, tra cui carbonio e acqua, e poi posti di lavoro, compatibili con la sostenibilità.
Il Green Deal (EGD) della UE - in consultazione pubblica in queste settimane - è una delle iniziative con maggiori potenzialità “trasformative” degli ultimi decenni, nella direzione indicata dagli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), per i quali c’è un riconoscimento generale dell’importanza del ruolo che svolgerà la bioeconomia. Gli SDGs sono stati considerati in tutte le strategie nazionali finora prodotte ed esplicitamente richiamati in quella italiana dove le foreste appaiono tra i players più significativi, riconosciute come sorgente primaria di risorse rinnovabili e da gestire in modo responsabile. In questo senso, nel nostro paese, la crescita di filiere forestali locali avrebbe impatti positivi sulle conseguenze globali. Importiamo l’80% del nostro fabbisogno in materiali legnosi mentre la forte espansione del bosco è stata accompagnata negli ultimi decenni da una particolare e solida attenzione alla conservazione. Le foreste migliori sono oggetto di protezione fin dagli anni ’70 e quasi il 28% di esse è soggetto a regimi particolari di tutela. Anche l’establishment europeo, attento alla realtà ambientale essenzialmente solo nelle politiche di protezione ma sostanzialmente eco-indifferente, dopo anni di ricerca dal basso e di echi di culture underground, accetta dunque con l’EGD di portare critiche al modello dominante e proporre comportamenti un tempo visti solo come “alternativi”. Serve cambiare, in breve tempo, i nostri modelli di produzione e consumo, ri-orientando le risorse economiche in una direzione dove scienza, economia e politica concorrano a strutturare una società capace di sostenere tanto il presente quanto il futuro. Nelle parole della Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, esso si configura come una “nuova strategia di crescita economica disaccoppiata rispetto al consumo delle risorse, che mira a trasformare l’Unione Europea in una società prospera ed equa, con un’economia competitiva, moderna ed efficiente nell’uso delle risorse, in cui, entro il 2050, non vi siano più emissioni nette di gas climalteranti e siano garantite la conservazione e crescita del capitale naturale e la protezione di salute e benessere dei cittadini dagli impatti e dai rischi connessi alle crisi ambientali”.
Va detto che, anche rispetto al capitale naturale, servono vie nuove. Prevale un’ottica prettamente economico-finanziaria per tutti i beni e servizi (è ancora molto difficile promuovere il valore d’uso e quello dei beni relazionali), con il rischio che la natura sia un supermercato dove noi andiamo a rifornirci, più o meno lontano, spesso fuori dalla UE, magari importando e aumentando i livelli di deforestazione. Dunque, tale visione ampia e ambiziosa non potrà essere perseguita senza guardare all’essenza del modello economico che abbiamo creato e finora praticato, senza ripensarne le fondamenta di produzione e consumo. Serve un cambio di sistema, per de-materializzare il modello economico e commutare la logica dell’efficienza in quella della sufficienza delle risorse, basandosi sulla separazione della crescita economica o meglio, finalmente del benessere, dall’uso delle risorse e dagli impatti sui nostri ambienti e sulla biosfera, con uno sguardo responsabilmente globale. È giunto il momento in cui la sfera ambientale prevalga sulla sfera economica, le cui proposte devono essere vagliate - da esperti non solo economisti - in termini di sostenibilità: infatti, se la sostenibilità economica è non-sostenibile socialmente o ecologicamente, diventa anch’essa insostenibile.
Un’economia lineare basata su quantità e profitto deve essere sostituita da un’economia circolare, focalizzata sul soddisfacimento sostenibile delle necessità delle popolazioni. È cosa non semplice e processo che certamente sfida l’attuale distribuzione di interessi e poteri. Ma è necessario se si vuole davvero dar seguito agli obiettivi stabiliti e non può essere articolato in politiche specifiche e separate come attualmente avviene. Dobbiamo connettere e implementare politiche trasformative olistiche per raggiungere gli obiettivi sistemici che servono.
La bioeconomia è una di queste politiche. Una nuova economia “dal basso, per restare in vita”. Circolare, basata sulle risorse biologiche rinnovabili e su soluzioni sostenibili e bio-based, può certamente contribuire all’EGD e per questo chiede maggiore attenzione, a partire dall’obiettivo centrale della neutralità carbonica: può diventare il catalizzatore del cambiamento sistemico che cerchiamo per integrare gli aspetti sociali, economici ed ecologici. Può essere definita come un’economia basata sull’utilizzazione sostenibile di risorse naturali rinnovabili e sulla loro trasformazione in beni e servizi finali o intermedi. Pertanto, essa comprende settori tradizionali che utilizzano bio-risorse rinnovabili del suolo e del mare come l’agricoltura, la selvicoltura, la pesca e le attività economiche moderne con i settori industriali che utilizzano o trasformano biorisorse: agroalimentare, carta e cellulosa, parte dell’industria chimica, delle bio-tecnologie e dell’energia. In Italia, il settore del trattamento delle materie prime rinnovabili vale 328 miliardi di euro, 10% del PIL nazionale, e occupa 2 milioni di persone, secondo posto dopo la Germania. A fronte della corrente situazione mondiale gravata dal Covid19 e del rinnovato interesse per le questioni legate alla sostenibilità ambientale, all’inquinamento atmosferico e ai cambiamenti climatici, riciclo e trattamento degli scarti appaiono come una tematica di grande attualità e interesse, anche per il notevole valore economico. Si tratta di gestire le priorità, come indicheranno le prossime strategie Forestale, della Biodiversità, Farm to fork, Piani Energia e Clima, nella Commissione e negli stati membri. Ad esempio, in Italia il recente aggiornamento della Strategia della Bioeconomia promette maggiore attenzione al settore primario e alle fiere forestali in particolare (2019). Nell’UE la nuova PAC, tra diverse alternative porrà al centro il clima e le azioni ambientali; sembra finalmente avviarsi a scegliere un approccio olistico e integrato sull’uso del suolo e forse finalmente a emanare la direttiva sulla protezione del suolo, spingere per “produrre di più con meno” e dare al settore primario la possibilità di trasformarsi con una strategia di crescita basata sulla conoscenza. Non si discute se scegliere queste priorità, ma come affrontarle: sono già all’opera alcuni strumenti (prestito 2020 della BEI, per esempio), ma sarà sempre più cruciale e unico il ruolo che agricoltura e selvicoltura, produttori e proprietari, svolgono nella produzione di cibo e nell’erogazione dei servizi ecosistemici come il sequestro del carbonio o la fornitura di energia, i composti chimici e i nuovi materiali bio-based.
Tre specificità della bioeconomia per connettere i nodi del Green Deal
- La bioeconomia circolare è fondamentale, nella trasformazione ecologica del nostro modello economico, per una transizione sociale equa ed una prosperità inclusiva. Paradossalmente, ciò è legato ad alcuni suoi “svantaggi” rispetto all’economia basata su energia fossile ed estrattivismo: complessità della proprietà e di mobilizzazione e processamento delle risorse biologiche. Queste, prime fra tutte le risorse forestali, sono di norma possedute da molti più soggetti fisici o giuridici e, per loro complessità, hanno costi di accesso spesso maggiori nelle attuali catene del valore, rispetto alle risorse fossili come petrolio o carbone. Tuttavia questo limite rappresenta anche un punto di forza li dove offre la possibilità di una distribuzione inclusiva di reddito, lavoro, infrastrutture e prosperità in una più ampia e geograficamente delocalizzata parte del territorio, promuovendo la cooperazione regionale e transregionale a partire da distretti dedicati, con azioni di condivisione delle conoscenze e dell’innovazione verde (l’approccio Bioregions e Biocities che propone EFI): le foreste coprono il 40% delle terre emerse e le loro interconnessioni con i sistemi agricoli, pastorali e urbani raggiungono tutte le zone rurali e possono essere alla base di scelte sostenibili (o magari più spesso distruttive, specie su scala globale), in linea con le ambizioni di crescita inclusiva del EGD. Purtroppo, per ora il settore forestale non è neanche menzionato, pur fornendo 3.5 milioni di posti di lavoro (molti di più delle tre filiere industriali più pesanti e dissipatrici di energia - acciaio, chimica, cemento), che il EGD ritiene indispensabili all’economia europea poiché rifornisce filiere chiave di grande valore. Questa assenza è ingiustificata e assurda. Se la ragione risiede nell’annosa questione dell’assenza del settore legno dai trattati, alla luce dell’attuale situazione si deve cogliere l’opportunità per ridefinire il valore ecologico e funzionale della più grande infrastruttura verde del continente e il profilo etico dei suoi rapporti con il resto del pianeta, specie in relazione agli sforzi comunitari di limitare l’importazione di deforestazione e l’illegalità per tanti prodotti della selvicoltura, dell’agricoltura e dell’allevamento che giungono in Europa. In più, si consideri che solo qui il settore include 400.000 piccole e medie imprese e 16 milioni di proprietari forestali: una “fabbrica” socio-ecologica unica e molto estesa, capace di gestione pienamente sostenibile se ben guidata e controllata (come riconosciuto a livello globale per le regole di contesto per la conservazione della biodiversità, la selvicoltura responsabile, i processi di condivisione - Forest Europe, e le normative messe in campo, a partire da EUTR) e in grado di sostenere le ambizioni del EGD.
- È importante ricordare che andare verso un’Europa carbon neutral significa ridurre drasticamente l’energia di origine fossile e mettere in campo grandi sforzi per avanzare nei materiali fossil free, sostituendo i prodotti ad alta intensità di carbonio quali plastiche, calcestruzzo, acciaio, tessili sintetici. Questo non solo per la mitigazione dei cambiamenti e della crisi climatica, ma anche per gli altri evidenti positivi effetti ambientali. La trasformazione richiesta dal EGD è semplicemente impossibile senza un nuovo ampio ventaglio di materiali rinnovabili, bio-based, capaci di superare e sostituire gli attuali. Questo spostamento è anche un’opportunità di modernizzazione per rendere più circolari i settori industriali: le risorse biologiche rinnovabili, come quelle forestali quando gestite in modo sostenibile, sono circolari per loro natura e in genere più semplici da “rimanipolare”. EGD identifica parecchi settori - chimico e tessile, plastica ed edilizia - che necessitano di nuove basi concettuali perché gli stessi modelli imprenditoriali diventino innovativi e circolari, a bassa intensità di carbonio. La bioeconomia emergente può esserne il catalizzatore. Alcuni esempi. Possiamo trasformare il legno, il migliore materiale amico dell’ambiente che conosciamo, con un approccio sfaccettato, complesso e multiculturale, promuovendo il più versatile dei materiali biologici sulla terra, in nuovi materiali rivoluzionari come le nanocellulose: cinque volte più forti dell’acciaio ma cinque volte più leggere (la prima automobile è stata prodotta nel 2019 in Giappone). Una nuova generazione di tessuti sostenibili e circolari prodotti dal legno è ora possibile, con un’impronta carbonica cinque volte più bassa delle fibre sintetiche come il poliestere. Gli impieghi ingegneristici e strutturali del legno del legname sono forse i più efficaci per ridurre l’impronta carbonica nelle città e nel settore delle costruzioni in genere, dominato da acciaio e calcestruzzo, materiali fortemente dispersivi ecologicamente ed energeticamente, in tutti gli ambiti che hanno urgente bisogno di rigenerazione, riqualificazione e ristrutturazione energetica, un immenso cantiere potenziale! Per giungere all’inquinamento zero anche le tecnologie che usano le bioenergie possono e devono far fronte all’abbattimento delle emissioni.
- La bioeconomia offre la grande opportunità di affrontare le crisi economiche riconoscendo il valore di natura e biodiversità, ponendole al centro del sistema. La diversità biologica supporta tutti i servizi ambientali e determina la capacità delle risorse naturali di adattarsi ed evolvere negli ambienti che cambiano. È un prerequisito per un’economia resiliente e sostenibile sul lungo termine. E, d’altro canto, una bioeconomia sostenibile è essenziale per la protezione della biodiversità, cosi come nuove soluzioni bio-based sono cruciali per sostituire i prodotti fossili e mitigare la crisi climatica, che con i cambiamenti d’uso del suolo e gli scambi biologici, è la principale minaccia e fonte di declino. Alcune scelte possono essere di beneficio per bioeconomia e biodiversità insieme, quali la promozione della diversificazione strutturale e compositiva dei boschi e delle foreste per rendere gli ecosistemi più ricchi, resilienti e capaci di affrontare i disturbi a scale diverse. Infine, non è realistico assumere che le azioni di protezione e potenziamento della biodiversità debbano essere sostenute dalla sola mano pubblica. Proprietari forestali e industrie del settore potranno generare ricavi sufficienti da una bioeconomia profittevole, che li ponga in grado di reinvestire in capitale naturale, in linea con gli obiettivi del EGD di preservare e ripristinare ecosistemi e biodiversità, assumendosi la responsabilità e il riconoscimento dell’interesse pubblico primario delle foreste.
La bioeconomia dunque, scaturita e alimentata dalla natura, ha un grande potenziale teorico per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Green Deal, ma solo se gestita in modo integrato e non parziale, sostenibile e responsabile, con lo sguardo all’intera biosfera e a tutte le comunità umane che la abitano, rilocalizzando l’economia ai fini del benessere e non della sola massimizzazione del profitto attraverso scelte neocolonialiste di pura estrazione di risorse naturali. È sempre più cruciale far crescere le politiche e implementare sistemi di monitoraggio che assicurino che gli assortimenti legnosi prodotti nei sistemi forestali non siano in conflitto con altre utilità ecosistemiche e con la biodiversità nelle foreste mondiali. È un’importante tessera ancora mancante del complicato mosaico che deve superare la dicotomia tra economia ed ecologia che ha definito il 20° secolo, quando solo le dinamiche tra lavoro e capitale sembravano guidare le scelte, senza coinvolgere gli aspetti ambientali e sociali. Può essere un’opportunità per costruire nuove relazioni sinergiche e non tecnocratiche tra scienza, tecnologia e natura, per definire un 21° secolo in cui si possa finalmente cominciare a rispettare le leggi fisiche e biologiche, e a perseguire una maggiore equità sociale, intergenerazionale e territoriale.
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